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Brutti voti e suicidio

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Parliamo di scuola
BRUTTI VOTI E SUICIDIO

Certamente è un argomento terribile. Che pochi scrittori, giornalisti o anche docenti o ex docenti, vorrebbero affrontare. Ma i problemi attuali, vanno affrontati. Basta solo avere il coraggio – e l’onestà – di proporli obiettivamente, sebbene e naturalmente, sotto un punto di vista prettamente personale. Personale, ma comunque suffragato da un bagaglio non solo culturale, ma anche di esperienze vissute che, in ultima analisi, a mio avviso, sono le più importanti per la formazione della personalità. La mia esperienza nel campo della scuola, prima come studente, poi come docente nelle scuole medie, poi come docente di scienze dell’educazione negli ultimi corsi abilitanti, risalenti addirittura al millennio passato, mi spingono alla trattazione di un tema che non vorrei nemmeno accennare. Come penso la maggior parte degli operatori del settore, attratti, comunque, da metodologie, didattiche e sperimentazioni senza dubbio innovative. Ma a questo punto la domanda sorge spontanea: quale innovazione dalla Legge Boncompagni del 1848, alla Legge Gentile del 1923, alla Legge Gelmini del 2008? Bisognerebbe aver studiato attentamente le tre leggi per poter trarre delle conclusioni. Ma bisognerebbe, anche, aver studiato la società delle varie epoche a cui si riferiscono queste tre innovazioni nel processo educativo del giovane. Nei miei articoli sull’educazione e sulla scuola ho sempre affermato che i tre principali istituti educativi sono: la famiglia, la scuola, le istituzioni. Quando una di queste componenti viene meno, la società dei discenti subisce notevoli scossoni, di solito di carattere negativo. Procediamo con ordine. Quando frequentavo il Liceo Classico, studiavo di notte ma lavoravo di giorno per aiutare la famiglia e per non considerarmi un parassita. Lavoravo nel caseificio di mio padre, buon’anima, di cui ricorre quest’anno il primo centenario della nascita ( 1908 – 2008), assieme ai miei fratelli. Agli inizi del mese di luglio degli anni ’60, cioè circa mezzo secolo fa, il mio fratello primogenito si schiacciò due dita in una macchina e stava col braccio appeso al collo e quindi non poteva lavorare, il secondo si schiacciò due dita nella sedia a sdraio mentre stava sulla spiaggia a prendere il sole durante l’intervallo del lavoro. Durante quella estate dovetti fare il lavoro di ben tre persone. Un calvario. Lavorare – e pesantemente – oltre dodici ore al giorno fino alla metà di settembre, fu veramente duro. Mio padre, un grande uomo nella sua semplicità e bontà, alla fine della stagione mi convocò e pacatamente mi disse:” L’estate è finita. Prenditi i soldi che ti servono, vai in pensione a Napoli, riposati qualche settimana e vedi se riesci a fare pure qualche esame. Se nò, non importa…”. In quella sessione autunnale della prima metà degli anni ’60, riuscii a superare ben due esami. Con voti non molto alti, ma vi riuscii. Il monito di mio padre era stato un invito: non un ordine. Giunti a questo punto il lettore si chiederà: “ Ma questo dove vuole arrivare???” Se un ragazzo di undici anni, in provincia di Brescia prende un brutto voto a scuola e decide di suicidarsi perché ha deluso la famiglia. Se una ragazza di sedici anni prende un brutto voto a scuola, in provincia di Salerno, solo pochi giorni fa, e decide di suicidarsi perché ha deluso la famiglia, la domande diventano tante. La triade educativa ( famiglia – scuola – istituzioni) ha fallito. In qualche cosa ma ha fallito. In qualche modo ha fallito. Certamente ci sta la predisposizione del soggetto a compiere un insano progetto per un futile motivo. Ma questo, cari lettori, vi posso assicurare, l’ho provato anche io. A mie spese. Sono stato bocciato al Liceo Classico, non per colpa degli altri, ma esclusivamente per colpa mia. All’Università – sebbene con voti medio bassi – ho superato ben venti esami da solo e con le mie forze. In uno solo, sono stato raccomandato non per iniziativa mia ma di una mio parente onnisciente e disgraziato. Ebbene sono stato bocciato per ben due volte, ritardando, per tale miserabile “incidente” la mia laurea di ben due sessioni. Cioè con otto mesi di ritardo. Caddi in depressione e persi – fortunatamente per pochi mesi solamente – il mio equilibrio psichico. La vita è una continua battaglia…Ed io ho sempre combattuto. Forse sarà stata la mia incoscienza a farmi persistere. Ma molti, specialmente oggi, vittime di una televisione degradante, insulsa, stupida, propugnante falsi valori e falsi idoli, certamente non educativa, molti vittime di una società dei consumi dove i valori materiali vengono anteposti a quelli spirituali e morali, molti vittime di proposte pubblicitarie inneggianti a futuri successi promulgati dai mass media sempre più esosi e vuoti allo stesso tempo, non riescono a rispondere adeguatamente ai messaggi normali del mondo della scuola, del mondo della famiglia, del mondo della società. Ed allora i traumi. Talvolta terribili. Addirittura drammatici. Sarà colpa della mamma; oppure colpa del papà; oppure colpa della maestra; oppure colpa dello società che propina quotidianamente idoli stupidi ed insulsi. Chi scrive – forse è meglio che mi presenti, 60 anni fa, cioè nel 1948, fu punito dalla maestra, perché non aveva portato tutti i compiti svolti, a stare due ore in ginocchio dietro la cattedra sopra dei chicchi di granoturco col cappello a cono in testa con sopra scritto “asino”. Quaranta anni fa, nel fatidico 1968, anno della contestazione studentesca, si laureò all’Università Federico II di Napoli in lettere moderne. Di poi insegnò in Piemonte e dal 1983 in Campania. Ora, nel 2008, si gode la sua pensione. In un suo articolo di una diecina di anni fa, apparso su giornali, libri, riviste e siti internet, ha trattato “Il sogno di un vecchio professore in pensione”. Se oggi la contestazione investe la Gelmini, io non entro in merito alla questione. Ma invito docenti e discenti a dare un giudizio al di fuori della ideologia politica. Oggi non ci può essere una scuola di destra ed una di sinistra, ma solamente una scuola che deve educare, preparare accuratamente i professionisti del domani. E se qualche genitore – vedi Bari – va a comperare un esame per suo figlio “ciuccio matricolato”, per la somma di ben tremila euro, significa che l’istituto educativo è bacato. In tal senso viene meno lo studente disonesto e asino che permette al genitore di comperargli l’esame, il genitore disonesto che compera l’esame al figlio, ed il professore ancora più disonesto che permette il solito “asinus in catedra”. Eliminare tutti questi squilibri, a mio avviso, certamente non risolverebbe tutto il problema, proprio perché ci sono molti genitori che ingigantiscono certi problemi e, purtroppo, ci sono molti giovani studenti che, solo perchè hanno preso un brutto voto a scuola, si sentono dei falliti, verso la scuola e massimamente verso la famiglia. Un’ultima considerazione verso alcuni docenti. Nella mia carriera ho conosciuto professori che sono andati a scuola fino a tre giorni prima di morire, professori che sono venuti a scuola, per molti anni, solo per prendere lo stipendio, professori che non solo non educavano, ma addirittura diseducavano. Oggi fare il professore è una missione, non una professione. E questo, potrà obiettare il lettore attento ed oculato, avviene in tutti i settori. Dal medico all’avvocato, dall’ingegnere all’architetto, dal geometra al ragioniere, dall’impiegato di banca al vigile urbano. Solo mantenendo una adeguata dignità, si può lavorare per il benessere della società. Quando un giovane commette un insano gesto, la colpa è un poco di tutti noi, che sopra ho citato, che non siamo stati in grado di fornire adeguate risposte a domande che forse non abbiamo capito, o forse non abbiamo mai recepito o forse non abbiamo voluto nemmeno ascoltare. Famiglia, scuola, istituzioni, a mio avviso, rimangono sempre i principali istituti educativi. Le basi sono sempre le stesse. Le modalità ed i mezzi sono cambiati nel corso degli anni. Ma la partenza e l’arrivo sono sempre i soliti traguardi a cui deve mirare la moderna pedagogia. Una tecnologia umanizzata, capace di recepire i messaggi dei giovani, trasformarli ed inviarli all’utente principale: il giovane. Non importa se dalla penna d’oca siamo passati alla stilografica e di poi alla biro e di poi alla macchina per scrivere e di poi al computer ed infine al palmare. I mezzi sono sempre più moderni, ma il fine è sempre lo stesso. Educare i giovani non solo alla cultura, ma anche alla fratellanza, alla comunicazione attiva, all’equilibrio sociale. Solo in questa maniera potremo parlare di evoluzione…

Catello Nastro

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